Digital advertising: è la fine del microtargeting?

Digital advertising: è la fine del microtargeting?

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Digital advertising: è la fine del microtargeting?

Il 2021 è stato un anno di svolta nel panorama pubblicitario digitale: abbiamo assistito a dei veri e propri terremoti. Tutti i principali canali pubblicitari sono stati coinvolti, in particolare Facebook e Instagram. Oggi, chi decide di fare pubblicità online deve necessariamente tenere conto di questi scossoni e adeguare di conseguenza le proprie strategie.

Ma andiamo con ordine.

Partiamo dalle basi

In pochi anni la pubblicità online è passata dall’essere la Cenerentola del Marketing Mix a diventarne la regina: le aziende e le organizzazioni di tutto il mondo fanno a gara per ottenere l’attenzione degli utenti e sono disposta a pagarla a peso d’oro. Secondo i dati pubblicati dal Corriere all’inizio di dicembre, dalle inserzioni digitali derivano quattro quinti dei ricavi di Google e praticamente tutti i ricavi di Facebook, per un totale aggregato di 230 miliardi di dollari (dati riferiti al 2020).

Il segreto di questo successo? La capacità della pubblicità online di raggiungere utenti altamente profilati. Questo avviene in due modi: il primo, proprio di Google, è intercettare la domanda diretta, ovvero chi compie una determinata ricerca con parola chiave. Il secondo, comune sia a Google che Facebook, è intercettare la domanda latente, ovvero colpire un pubblico con determinate caratteristiche e che riteniamo potenzialmente interessato alla nostra offerta.

Questa segmentazione avviene non solo da un punto di vista demografico (età, geolocalizzazione) ma anche in base al comportamento online: siti frequentati, tipo di interazioni preferite, abitudini d’acquisto, relazioni etc.

Ebbene, proprio il microtargeting è andato in crisi. La ragioni sono molteplici ma, in particolare, la crisi si deve alle limitazioni nel tracciamento dati: che si tratti di imposizioni di carattere normativo o di decisioni spontanee dell’utente, dall’arrivo della Legge sui Cookies il numero di dati tracciabili è andato via via assottigliandosi. Un colpo formidabile è arrivato nel 2021.

Chi possiede un iPhone avrà notato che con gli ultimi aggiornamenti del sistema operativo iOS è apparsa una novità: quando si apre un’app, compare un alert che recita più o meno “quest’app sta tentando di tracciarti: glielo consenti?”. Si tratta dell’app Tracking Transparency, rilasciata da Apple allo scopo di tutelare al meglio la privacy dei suoi utenti. Una sorta di banner dei cookie mobile ma fatto bene e comunicato meglio, visto che moltissime persone, in tutto il mondo, hanno chiesto di non farsi tracciare. Secondo dati aggiornati a settembre 2021, solo il 21% degli utenti Apple in tutto il mondo ha accettato il tracciamento completo.

Cosa significa in pratica?

Che il microtargeting diventa meno preciso. E questo colpisce soprattutto chi lavora con un pubblico molto definito, come le aziende locali, che proprio grazie al microtargeting poteva ottimizzare l’investimento. Questo cambiamento può penalizzare in parte anche la pubblicità retargeting, ovvero quella che “ci segue” dopo aver visitato un sito web o effettuato un acquisto. Nel caso di Facebook, ci sono altre due restrizioni: la finestra di attribuzione si è ridotta dai tradizionali 28 giorni di default a 7. Questo significa che il tempo a disposizione per una retargeting efficace si riduce, anche nel caso l’utente abbia dato il consenso al tracciamento. Inoltre, è stato stabilito un limite per gli eventi di conversione, ovvero le azioni notevoli compiute dall’utente sul sito a cui corrispondono touchpoint della customer journey (prodotto salvato, messa a carrello, preferiti etc.): ora è possibile tracciare solo fino a 8 eventi unici per dominio.

In tutto questo, dobbiamo anche fare fronte a dei rialzi d’asta: con l’arrivo della pandemia, infatti, tutti si sono riversati a investire online, anche chi non l’aveva mai fatto prima. E questo ha fatto impennare l’asta pubblicitaria. Ora va senz’altro meglio che nel 2020, ma siamo ben lontani dai livelli pre-pandemici.

Come reagire? Abbiamo due strade da percorrere: una tecnica, per consentirci di “salvare il salvabile” dei tracciamenti mancati, e una strategica. Vediamole entrambe.

Quali soluzioni adottare?

La prima strada si chiama tracciamento server side: in pratica, consiste nello spostare la tracciabilità degli eventi dal browser al server. Prendiamo il caso di Facebook: il Pixel di Facebook lavora con il browser, quindi è esposto a tutte le limitazioni che gli utenti possono inserire, Ad blocker, rifiuto dei cookie, e ovviamente il temuto “non accetto” dell’aggiornamento iOS14 e successivi. Di conseguenza, il pixel si è trasformato in una rete a maglie larghe da cui molti dati sfuggono.

Per recuperare questi “dati fuggitivi”, Facebook ha creato le API Conversion, uno strumento di tracciamento che traccia gli eventi dal browser, ma direttamente sul nostro server. Per implementarlo servono alcuni passaggi tecnici, quindi, oltre che al Business Manager, è indispensabile avere accesso totale al sito, dominio (verificato), e soprattutto al server. Possono venire in aiuto piattaforme terze come Google Tag Manager.

Anche così, queste procedure implicano il coinvolgimento di più professionisti allo stesso tempo. Potrebbe rivelarsi complicato da gestire, soprattutto per chi lavora con diversi professionisti esterni. Ma con questo nuovo assetto, non è più possibile ragionare per compartimenti stagni: tutti gli attori coinvolti devono poter lavorare insieme come un unico team, anche sotto il profilo tecnico.

Strategia pubblicitaria: cambio di rotta?

In questo momento è saggio optare per un cambio di prospettiva: passare da iniziative incentrate sul target a iniziative volte a valorizzare la brand awareness del marchio e la valorizzazione del prodotto. Questo non significa che dobbiamo rinunciare alla targhetizzazione del pubblico. Ma piuttosto che profilarlo a priori, è meglio partire con una base ampia e spingere gli utenti ad interazioni in app, ad esempio visualizzare un video fino in fondo o per una certa lunghezza. Da qui sarà possibile creare pubblici personalizzati di utenti che hanno già manifestato interesse verso i nostri contenuti.

In generale, possiamo dire che vincerà questa sfida chi saprà crearsi e coltivare nel tempo un pubblico fidelizzato. Certo, occorrerà tempo e molta dedizione, ma proviamo a vederla in positivo: anche se è praticamente una scelta obbligata, probabilmente è anche quella che consente di avere i risultati migliori e più duraturi. Per troppo tempo, infatti, la pubblicità social è stata relegata a una dimensione estemporanea, episodica, spesso poco strutturata.

Oggi è tempo di tornare a pensare in modo strategico e soprattutto a lungo termine.

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