È una delle parole che hanno caratterizzato questo 2020: amato e odiato, decantato o deprecato, lo smartworking è ormai entrato a far parte delle nostre vite. Per i più è arrivato come una necessità, per permettere una continuità lavorativa durante la pandemia. Ma qualcuno già scommette che sia destinato a diventare parte integrante dei processi aziendali e che verrà mantenuto anche ad emergenza finita.
Di certo si tratta di nuova realtà con cui dobbiamo fare i conti e che ha colto molte aziende impreparate, con risultati a volte molto pesanti per chi deve portare avanti le attività operative.
Cerchiamo di capire meglio il perché.
È vero smartworking o lavoro a distanza?
… non sarà meglio definirlo Home Office? Se preferite l’italiano, “telelavoro” o “lavoro a distanza”. Qual è la differenza? Semplice: il telelavoro prevede che il dipendente o il collaboratore svolga le stesse mansioni di quando è in ufficio, seguendo le stesse logiche di processi; restano altresì inalterati:
- gli obiettivi
- i parametri di valutazione del suo operato
Questo non è sbagliato di per sé: molti ruoli includono una parte del lavoro che può essere svolta da qualsiasi scrivania e che anzi potrebbe essere portata avanti meglio in un luogo appartato, senza venire interrotti o distratti. Lo sanno bene avvocati e commercialisti (ma anche un negoziante potrebbe voler dedicare un pomeriggio all’aggiornamento del sito web nella tranquillità di casa). Questo non implica che l’intera logica del lavoro debba venirne sconvolta.
Lo smartworking però è un’altra cosa. E inizia proprio in ufficio. Non si tratta di “spedire la gente a lavorare da casa” (citazione da un quotidiano) ma di istituire un nuovo metodo di lavoro che oltre ad aiutarci a fronteggiare lo stato di necessità, può portare molti benefici all’azienda nel lungo periodo, specie se viene integrato efficacemente con la presenza in ufficio (secondo la cosiddetta “formula mista” o “blended”).
Ma allora come si imposta questo “metodo smart”?
Ogni azienda è un mondo a sé e ogni settore ha le sue priorità; tuttavia, esistono delle caratteristiche comuni che è bene tenere sempre presenti quando decidiamo di impostare un metodo di smartworking per la nostra organizzazione. Sulla base di queste caratteristiche abbiamo creato un white paper con 10, brevi, consigli utili da applicare immediatamente. Lo abbiamo chiamato “Pillole di smartworking” e potete scaricarlo direttamente qui:
Le caratteristiche del vero smartworking
Noi non siamo né esperti di risorse umane né ingegneri gestionali. Quelli che vedrete sono il frutto di esperienze maturate direttamente “sul campo” negli anni della nostra gavetta, prima di iniziare a lavorare in agenzia, e che si sono rivelati molto utili negli ultimi mesi.
Del resto, i professionisti del digitale sono stati i pionieri dello smartworking: già a metà degli anni Duemila, in “tempi non sospetti”, abbiamo iniziato a sperimentarne metodi. Soprattutto, abbiamo sviluppato la forma mentis necessaria a questo nuovo modo di approcciare il lavoro, riconoscendone tutti i meriti ma anche tutti i limiti.
In Breva pensiamo che per lavorare al meglio un team debba poter condividere spazi in comune e momenti insieme, e non soltanto davanti al pc: i braistorming migliori avvengono in presenza, quando possiamo sentire l’energia delle persone intorno a noi. Inoltre, anche le pause caffè possono rivelarsi preziosi elementi di team building!
Questo vale anche nel rapporto con i clienti: una stretta di mano rimane impareggiabile e nessun meeting virtuale su Zoom, Meet o Skype potrà mai sostituirla.
Ma in attesa di poterci finalmente rivedere… qui potete scaricare la guida!
Buon smartworking a tutti!