“Pago un menù cheesburger, una coca media e patatine. Quant’è?”
“50 Satoshi, grazie”
Non è l’esempio di un futuro distopico, ma una reale conversazione che potrebbe diventare normale nel giro di settimane. Questo, grazie all’iniziativa del McDonald di Lugano, che ha deciso di accettare anche pagamenti in Bitcoin (Il satoshi, per la cronaca, è la frazione del Bitcoin, dove 100.000.000 satoshi= 1 Bitcoin).
La notizia è stata riportata da Tio.Ch, diffusa via Twitter da Bitcoin Magazine e ripresa rapidamente da molte altre testate, tra cui anche Il Sole 24 Ore. Un passo decisivo per calare sempre di più le cryptovalute nella nostra quotidianità; un cammino che la Svizzera percorre con convinzione già da diversi anni. Sono circa 960 le aziende svizzere che si incentrate sulle crypto, di cui circa la merà in Canton Zugo, soprannominato a buon diritto “Crypto Valley”. Secondo una classifica stilata da Finbold, la Svizzera è al secondo posto tra i Paesi del Vecchio Continente per possessori di cryptovalute, pari al 12,9% della popolazione (il podio spetta all’Olanda, con il 13,2%). Un dato che colpisce, soprattutto se messo in relazione con quanto accade nella vicina Italia, ferma al 6,3%, ovvero meno della metà, nonostante i suoi 59 milioni di abitanti. Per avere un riferimento più ampio, la media su scala globale ci dice che il 10% della popolazione mondiale possiede crypto. Tra tutte, la più diffusa è Bitcoin.
Bastano questi numeri per farci capire l’impatto di questo fenomeno, nato “virtuale”, nei confronti dell’economia “reale”; vale la pena mettere questi aggettivi fra virgolette, visto che i contorni sono sempre più sfumati. Le istituzioni nazionali guardano al fenomeno in parte con interesse e curiosità, in parte con crescente preoccupazione.
Cosa c’è dietro al successo? È un treno su cui vale la pena saltare? O i rischi sono ancora troppo grandi?
Lo abbiamo chiesto all’avvocato romano Mauro Longo, titolare con l’avv. Barbara Morbinati della Morbinati e Longo avvocati s.p.a.
Da oltre trent’anni lo studio legale si focalizza su un ambito alquanto spinoso nel contesto italiano: quello tributario. Forse, il più conservatore di tutti. Una vera sfida per gli avvocati dello studio, che invece si fanno paladini dell’innovazione su più livelli, dall’introduzione del processo telematico alla digitalizzazione dei procedimenti. La passione per la tecnologia li ha portati da subito a interessarsi al mondo delle cryptovalute, tanto che dal settembre 2022 lo studio accetta anche pagamenti in Bitcoin (sia on-chain che attraverso Lighting Network). Tra i loro clienti, aumentano i possessori di Wallet alle prese con una burocrazia che fatica a reggere il passo dell’innovazione.
Longo mette subito in chiaro una cosa: “Abbiamo compiuto questo passo perché riteniamo di avere di fronte una tecnologia innovativa, capace di cambiare in meglio la vita delle persone, e abbiamo voluto agire concretamente per contribuire alla sua diffusione. Non ci interessano le speculazioni finanziarie che ruotano intorno al Bitcoin, al contrario riteniamo che l’eccessiva finanziarizzazione di Bitcoin sia stata deleteria per il valore di questo strumento. In troppi l’hanno interpretato come un mezzo facile per arricchirsi in fretta, ma chi pensa ai Bitcoin come a uno strumento speculativo, può solo restarne deluso”.
Qual è, dunque, la vera forza di Bitcoin?
“Bitcoin rende possibile l’applicazione di un nuovo paradigma economico: dal punto di vista del Diritto, l’essenza del rapporto giuridico su cui si basa Bitcoin è la relazione fra pari. Il valore di un Bitcoin deriva solo dall’attribuzione che gli viene assegnata: non ha dietro di sé l’economia di un sistema-Paese, il suo valore non viene “calato” dall’alto ma deciso da coloro che si riconoscono nell’utilità del suo utilizzo. Potremmo quindi dire che è un fenomeno più giuridico che economico!”
Per il momento però è ancora elitario. Facciamo un esempio concreto: 0,10 cent di Bitcoin varrebbero la bellezza di 1981,63 franchi svizzeri e 2037,35 euro. Un cambio valuta quantomeno inusuale.
“È vero, ma proprio perché è ancora ristretto a pochi utilizzatori. Più si va verso la massa adoption più il suo valore tenderà a stabilizzarsi. Inoltre, il termine “valuta” non gli rende giustizia: potremmo forse definirlo uno strumento di conservazione del valore non tradizionale. Il Comitato Riforme Legislative del Parlamento inglese ha creato un report in cui sostiene che non si può considerare Bitcoin come una semplice moneta, soprattutto considerando la sua natura finita: Satoshi Nakamoto, il misterioso ideatore del Bitcoin, nel suo white paper originale scrisse che ne potranno essere minati solo 21 milioni. Questo lo rende immune dall’inflazione, un po’ come accade per l’oro. Solo che l’oro è scarso, mentre il Bitcoin è propriamente un bene “finito”, ovvero precisamente limitato. Può quindi essere considerato uno strumento de-inflazionistico. Ecco perché molti investitori hanno cominciato a interessarsene, negli ultimi anni. Il contesto geopolitico incerto e una certa sfiducia verso gli ambiti finanziari tradizionali ha fatto il resto”.
Ma allora perché viene ancora guardato con sospetto, almeno in certi ambienti?
“Perché è uno strumento decisamente disruptive e questo genera una prudenza che spesso sconfina nell’inerzia. A questo si aggiunge la troppa disinformazione, che viaggia tra la celebrazione cieca dello strumento e la sua demonizzazione. Il risultato? In Italia l’aspetto tributario di Bitcoin è purtroppo complicato perché non ci sono ancora delle normative chiare. Agenzia delle Entrate si regola per circolari e prassi: non c’è una norma specifica. L’ignoranza sulla tecnologia che rende possibile Bitcoin fa il resto. Ad esempio: nella dichiarazione dei redditi, si chiede di inserire il valore posseduto in Bitcoin direttamente nel quadro RW. Ma RW è il quadro che si usa per le valute straniere e Bitcoin non è una valuta estera in quanto non è afferibile a nessun Paese…”
Quindi, ancora una volta, l’esperienza vale più della teoria?
“Sicuramente. Anche per questo abbiamo deciso di accettare anche noi pagamenti in Bitcoin: per provare sulla nostra pelle tutte le implicazioni pratiche e formali che dovranno affrontare i nostri clienti. Oggi è pieno di sedicenti esperti di Bitcoin che magari hanno fatto un corso o due e si spendono sui social media come grandi conoscitori del tema dal punto di vista tributario, ma la realtà è che ci sono pochissimi riferimenti: la letteratura giuridica in merito è praticamente tutta da scrivere, almeno in Italia”.
Tornando alla classifica di Finbold, vediamo che sul podio dei crypto-country c’è la Thailandia (detiene cryptovalute il 20% della popolazione), seguita da Nigeria, Filippine e Sud Africa (tutti poco oltre il 19%). Seguono Turchia, Argentina, Indonesia e Brasile. Perché questo distacco tra il Europa, Italia in testa, e i Paesi Emergenti?
“Bitcoin è uno strumento di straordinario per tutti, ma in particolare per coloro che vivono in Paesi dall’economia instabile, con valute monetarie deboli, spesso afflitti da governi che vantano un’ingerenza forte sia sulla prospettiva economica nazionale sia sull’economia privata. In questi casi, Bitcoin diventa uno strumento prezioso perché esula dalle ingerenze governative”.
Alcuni governi autoritari hanno provato a “spegnerlo” ma senza riuscirci, perché la sua natura è perfettamente distribuita. Bitcoin, inoltre, è particolarmente utile ai cosiddetti “unbanked” cioè coloro che non hanno accesso ai tradizionali sistemi bancari”.
Cosa auspichi per il futuro?
“Poter pagare anch’io il pranzo in Bitcoin! Si scherza, ma la speranza è che possa davvero venire accolto come parte della quotidianità di privati e imprese, senza che il loro mero possesso faccia alzare sopraccigli inutilmente. La Svizzera in questo senso è un esempio da seguire.”
2 commenti su ““Quanto pregiudizio verso i bitcoin!””
Interessantissimo! Vorrei però un articolo che ponesse le basi di quanto di dice qui. Cosa sono i bitcoin, chi li ha inventati, perché, a cosa servono, perché sono legati a Giudizi negativi, come si usano?… insomma credo. Eh ci siamo capiti.
Bellissima idea, Anna! Lo faremo senz’altro!